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FOVcalculator
Argomento ben esposto, volevo chiederle non crede che, se il più fine dettaglio (angolo sotteso di 0.58arcsec) che potrà visualizzare il suo strumento è all’ incirca uguale al “Raggio” della Centrica, ciò significa che il ”Diametro” del disco stellare è già diviso da due Pixel !?
Uno dei parametri da valutare molto attentamente nelle riprese digitali è il campionamento perché esso influirà notevolmente sul dettaglio finale delle immagini. Noi sappiamo che le foto digitali sono formate da tanti pixel, quadratini, che messi uno di fianco all’altro e visti nel loro insieme compongono l’immagine che ci appare su schermo. Ma quanto spazio è in grado di descrivere ogni pixel? Se scattiamo una foto a largo campo ad esempio possiamo vedere una stella o un pianeta talmente piccoli da occupare solo un pixel. Scattando una foto ad alti ingrandimenti possiamo far stare lo stesso pianeta in tutto il campo d’immagine ed a questo punto un pixel magari inquadrerà un cratere (l’esempio non è reale ed è stato esasperato per rendere l’idea). A questo punto abbiamo capito che il campionamento è dato da due fattori in relazione tra loro: il numero di pixel che compongono l’immagine ed il campo visivo presente nell’inquadratura. Nella foto che segue vediamo un esempio in cui la galassia di Bode viene proiettata su un sensore digitale e capiamo subito due cose: la prima è che l’angolo che descrive il campo visuale dello strumento (circolare) è più grande della la zona inquadrata dal sensore (rettangolare); noi useremo il valore di FOV reale che è calcolato in base alle dimensioni del sensore proprio in funzione di queste considerazioni. La seconda cosa che si nota è che se apriamo di più l’angolo di visuale avremo un campo inquadrato maggiore… e se questo lo proiettiamo sullo stesso sensore ci farà apparire la galassia più piccola, con una conseguente perdita di definizione (questo avviene quando accorcio la lunghezza focale della lente avvicinando il piano di fuoco e quindi aprendo il FOV – vedi fig. 2 ).
Certo 0,24 non è il 0,19 che avevamo auspicato all’inizio ma posso garantire che è un campionamento già tanto spinto. Volendo, se la si trova in commercio, si può usare una Barlow 6x ma secondo me la 5x basta e avanza!
Field of View
Questi calcoli dovrebbero essere sempre fatti prima di acquistare la strumentazione se si vogliono approcciare le riprese deep sky con profitto accoppiando bene il tutto per ottenere il campionamento ottimale dettato dal cielo in base ai valori medi di seeng presenti nel luogo dove si effettueranno le riprese. In Italia, in pianura, da dove scatto io, il valore di 1arcsec è ottimo e forse anche un po ottimistico, ma nei giorni migliori potrei sfruttarlo tutto. Se avessi avuto una postazione fissa in un luogo affetto da perenni turbolenze atmosferiche, tasso di umidità elevato etc avrei potuto studiare il mio setup per ottenere un campionamento di 2 o 3 arcse/pixel. Tutto il ragionamento fatto finora vale per la fotografia deep sky a lunga esposizione poichè con questa tecnica, tenendo l’otturatore aperto per parecchio tempo, il mio sensore registrarà ogni movimento del cielo sopra di me, restituendo un’immagine che in gergo viene definita “impastata” qualora avessi sovracampionato. Per le riprese planetarie in alta definizione il discorso cambia perchè, come abbiamo già visto, nel lucky imaging si usano scatti brevissimi capaci di “congelare” il movimento atmosferico ed appositi programmi rimetteranno insieme le parti migliori di tanti scatti, aggirando di fatto gli scherzi che ci fa il seeng. In questo genere di fotografia posso spingere il campionamento all’estremo fino al limite strumentale del telescopio. Tale limite (lo abbiamo analizzato quando si parlava di Diametro) è dato dalla formula di Dawes: dividendo un numero fisso paria a 117 per il diametro della mia ottica da 200mm ottengo che il più fine dettaglio che potrà visualizzare il mio strumento è pari a 0,58 arcosecondi. Però non posso pensare di piazzare questo dettaglio su un unico pixel! Un solo quadratino infatti non ci mostrerà un bel niente di quel dettaglio. Il criterio di Nyquist ci dice che bisogna dividerlo su due pixel per poterlo vedere; altre prove empiriche sul campo hanno dimostrato che sarebbe meglio spalmarlo su tre pixel! A questo punto teniamoci sicuri e dividendo 0,58/3 otteniamo un campionamento per l’alta risoluzione di 0,19 arcsec/px. Per spingere il campionamento a questi livelli dovremo usare delle lenti, chiamate lenti di Barlow, che non fanno altro che aumentare la Focale equivalente fino al valore che serve a noi; vediamo come: il campionamento di partenza (con la focale nativa) era pari a 1,19″ mentre quello che dobbiamo ottenere è 6,26 volte inferiore (1,19/0,19=6,26) e questo vuol dire che dobbiamo ottenere una focale equivalente 6,26 volte maggiore di quella originaria per avere il campionamento desiderato. Purtroppo non esistono lenti di barlow con fattori del genere e a dirla tutta non serve neppure essere così precisi: esse vengono prodotte con fattori del 2x, 3x, 5x etc.. quindi andrà benissimo una barlow 5x che sia avvicina tantissimo al valore da noi cercato. A questo punto piazziamo la nostra lente tra il telescopio e la fotocamera e siamo pronti alle riprese in alta definizione dei pianeti. Per completezza calcoliamo il campionamento ottenuto:
questo dato in soldoni ci indica che ogni pixel del mio sensore (su questo telescopio) “VEDE” un campo di 1,19 secondi d’arco, e non è un caso!!! I calcoli che abbiamo fatto assieme io li avevo già fatti tempo addietro, prima di acquistare la strumentazione, in modo che sensore e focale mi restituissero appunto un campionamento “ottimale” di 1,19arcsec! Un’altra formula che possiamo usare se partiamo dalla dimensione del pixel è quella che mette in relazione la sua misura con la focale dell’obiettivo (formula2). Si noti la notevole semplificazione ottenuta sostituendo in modo diretto la misura del sensore con la misura del pixel! Analizzandole bene possiamo dire che la prima formula ci dice quanto campo vedere il sensore per poi diverso per il numero di pixel, mentre la seconda ci dice direttamente quanto campo vede il singolo pixel.
Angolo di campo occhio umano
L’altra variabile che incide sulla definizione di un corpo celeste è il numero di pixel contenuti nel sensore, che varia in base alla dimensione del pixel stesso. I pixel non sono altro che fotodiodi in grado di convertire la luce in elettricità. In campo astronomico c’è una vastissima scelta di sensori e questa è dovuta proprio all’esigenza di far fronte alle innumerevoli necessità in termini di campionamento, FOV ed altri parametri. Il numero di pixel contenuti dal sensore, come tutti fotografi sanno, è un valore facilmente ottenibile: basterà controllare sul libretto d’istruzioni o cercare le specifiche online per avere questo dato. Chiariti tutti i parametri in gioco ora analizziamo le relazioni tra loro. Il campo inquadrato è un valore che posso ottenere facilmente e lo abbiamo spiegato poco fa in questo stesso articolo: abbiamo detto che basta dividere la larghezza del sensore (H) per la Focale del telescopio (Foc). Facciamo un esempio pratico: il lato lungo del sensore della mia 294MC è di 19,1mm mentre la focale del mio telescopio è di 800mm, quindi 19,1/800mm = 0,023875 radianti. Un bell’ingrandimento! Trasformiamo in arcosecondi moltiplicando per il fattore di conversione 206265 ed ottengo un FOV di 4924,6″. Sapendo che il lato del mio sensore ha 4144 pixel……
Quando il disco stellare può essere esattamente inscritto nel perimetro del fotoelemento ciò significa che “117/200mm” indica in arcsec. la metà dell’ angolo sotteso dall’intero pixel.
Gli ingrandimenti necessari per vedere bene un oggetto celeste sono un fattore determinante. Sappiamo infatti che lassù ci sono corpi piccolissimi che avranno bisogno di zoom elevati ed altri che necessitano di ingrandimenti meno spinti per essere osservati con profitto; ad esempio non si può usare lo stesso zoom usato su saturno per osservare la nebulosa di Orione: vedremo solo un bagliore diffuso dato da un ingrandimento eccessivo sul suo nucleo. Essi si calcolano in modo semplice mettendo in relazione la lunghezza focale del telescopio con la lunghezza focale dell’oculare utilizzato. Quando si compra un’oculare nuovo si deve stare attenti perché spesso, soprattutto se i inesperti, si è portati a pensare che più si ingrandisce e meglio si vedrà, rischiando di acquistare oculari con focali troppo spinte per il nostro strumento. Nell’articolo precedente abbiamo visto come la qualità e la definizione delle immagini sono date dal diametro dell’obiettivo e non dallo zoom utilizzato, infatti non ha senso ingrandire all’infinito un’immagine se questa è già sgranata in partenza. Un ottimo metodo per non sbagliare l’acquisto di un oculare è prendere in considerazione gli ingrandimenti massimi supportati dal telescopio che ritroviamo sulle specifiche tecniche; se questo dato non è reperibile lo si può ottenere raddoppiando il diametro dell’ottica in millimetri: se ho un riflettore da 200mm il massimo zoom che potrà supportare con profitto sarà un 400X ( ma io consiglio di tenerci anche più bassi ). Il minimo ingrandimento consigliato invece è dato dalla formula diametro/7,0. In questo caso avremo 200/7,0=28x come ingrandimento minimo ( gli ingrandimenti massimi e minimi derivano da alcune analisi fatte sull’ottimizzazione della pupilla d’uscita dell’oculare, ma queste sono caratteristiche che ora non ci interessano e le analizzeremo più avanti ndr ). Perciò, riprendendo il nostro esempio, abbiamo visto come gli ingrandimenti utili al telescopio in questione siano compresi tra 28X e 400X e di conseguenza dovrò acquistare degli oculari che mi restituiscono uno zoom compreso tra questi valori. Se consideriamo che la focale del nostro riflettore sia da 800mm e gli ingrandimenti massimi supportati 400 riuscirò a calcolare la lunghezza focale minima che dovrà avere il mio oculare in questo modo: 800/400=2mm, ma è difficile trovare un oculare con focale da 2mm; quelli con focali più corte (i più diffusi) partono dai 4mm, quindi basterà usare una Barlow 2x per raddoppiare la focale equivalente ed ottenere 1600/400X= 4mm. Tutto torna! Mettendo in relazione nuovamente la Focale del telescopio con la focale dell’oculare posso fare una verifica ulteriore ottenendo 800mm/4mm=400X. Ora abbiamo le giuste indicazioni per non comprare un’oculare sbagliato!!!!!
Se gli ingrandimenti ci dicono quanto zoom abbiamo il FOV ci restituisce una valore numerico ancora più utile e preciso, soprattutto al fine di alcuni calcoli che serviranno per le riprese digitali, uno su tutti il campionamento, che vedremo dopo. Il FOV ( Field Of View = Campo di vista ) infatti altro non è che l’angolo di apertura visuale che ci offre la nostra ottica. Lo possiamo immaginare come un angolo con al vertice il nostro occhio e tutto ciò che sta dentro potrà essere inquadrato, ciò che sta fuori resterà escluso al campo visivo. Nell’articolo precedente abbiamo preso d’esempio una sola sorgente puntiforme ma per capire bene il concetto ora dovremo prendere in considerazione due punti ed analizzare l’angolo che si crea tra essi. Considerando il cono di luce che ogni sorgente proietta su una lente possiamo semplificare considerando solo la proiezione del punto sulla retta che passa per il centro ottico, quella indicata con il tratteggio. Aiutandoti con video che ho inserito sotto capirai facilmente come l’apertura a sinistra sia il nostro Field Of View e l’angolo a destra, che è identico, sia la proiezione di ciò che vede l’ottica; quest’ultimo ci aiuterà a calcolare il campionamento.
Le formule che ti riporto sotto servono a calcolare il FOV ma tieni presente che la formula semplificata restituisce valori attendibili solo sotto i 20° d’apertura visuale: per capire il perchè ed approfondire la dimostrazione matematica clicca su di esse. Ricorda inoltre che per obiettivi grandangolari ed a corta focale usati nella fotografia di paesaggio è comodo misurare il FOV in gradi (°). Nella fotografia deep sky ad alti ingrandimenti si usano di solito i primi d’arco che sono la sessantesima parte del grado e si indicano con (‘). Per esprimere concetti come il campionamento o misurare il diametro angolare dei pianeti, avendo a che fare con angoli piccolissimi, useremo gli arcosecondi, abbreviati arcsec (“) che sono la sessantesima parte di un primo d’arco. Per fare un grado invece servono 3600”.