Lightmachine for Room

Non è la fissità verso un principio che stabilisce quanto sia coerente una persona, ma quanto i principi che dichiara siano più o meno applicati nelle sue scelte e nelle sue azioni. Non è centrale se si cambia idea o gusto, se vengono trovate buone ragioni per cambiare, ma che le idee e i gusti che vengono sostenuti, quando vengono sostenuti, siano concretizzati e materializzati in tutti gli effettivi modi di essere.

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Aspirare alla coerenza impone il rigore della consapevolezza, l’impegno a riconoscersi totalmente in quel che si fa, e anche non si fa, per confrontarlo, senza cercare alibi, con quel che si pensa di essere o si vorrebbe essere.

Ciò che allora fonda la coerenza è la consapevolezza, la vigilanza di sé per presidiare la relazione tra ciò che si dichiara e come si agisce, tra ciò che si vorrebbe e ciò che concretamente si cerca.

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Per questo è così impegnativa la coerenza. Perché ciò che la rende difficile è la qualità della conoscenza di sé necessaria. È infatti facile che nella narrazione di sé stessi, nel modo di pensarsi, pur con onestà intellettuale, sfugga la consapevolezza di gesti, modi, comportamenti poco coerenti con quel che ci si immagina di essere.

La coerenza riguarda il rapporto tra una promessa e l’azione, tra l’intenzione e l’impegno. L’allineamento tra pensiero e gesto, tra progetto ed esecuzione, tra quel che si crede di essere e come si agisce nei fatti.

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La coerenza è per questo anche un impegno di autenticità con sé stessi, nel realizzare la corrispondenza tra ciò che si desidera essere e i propri modi di trasformalo in esperienze e vita. Un impegno con sé stessi che a volte deve saper affrontare la relazione con gli altri, quando si attendono da noi modi d’essere uguali a quelli che hanno già conosciuto, reclamando una nostra coerenza. Sebbene non sia alla coerenza tra chi possiamo essere e come siamo a cui queste attese guardano, ma al bisogno psicologico di non avere sorprese e non dover affrontare i nostri cambiamenti.

Non vi è dubbio, la coerenza è una caratteristica che gode di indubbi apprezzamenti. Sebbene vi sia un rischio: di trasformala in un totem, in un modello di comportamento che anziché virtuoso diventa paralizzante e angusto. Perché può essere una prigione, una camicia di forza che impedisce di cambiare, di cogliere aspetti che meritano attenzione, di includere realtà che meritano considerazione.

Perciò, non si perde coerenza quando si muta consapevolmente nei giudizi, ma quando l’intenzione, il valore, il traguardo che si sono scelti non siano seguiti da comportamenti che ne rispecchiano fedelmente i contenuti.

È frequente un’inconsapevole difesa psicologica chiamata dissonanza cognitiva, che tiene all’oscuro di quale sia l’effettiva coerenza di cui si è agenti. Così può accadere di dissociarsi, di non vedere e riconoscere alcun legame tra le proprie convinzioni, i valori in cui si crede, con gli effettivi comportamenti adottati. La mente trova ragioni, o nasconde fatti e realtà, per consentire di sentirsi coerenti, anche se si parcheggia in doppia fila, si omette una verità, ci si adatta alle scelte più facili, ci si adira inutilmente con le persone amate.

La coerenza non riguarda l’immobilità, la staticità che non cambia opinioni, abitudini, scelte. La sua misura non si accerta nell’invariabilità di idee che non mutano nel tempo, di atteggiamenti e convinzioni che vengono testardamente ripetuti, prigionieri di un’idea di coerenza come ripetizione.

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